Ogni giorno nel mondo muoiono in media 155000 persone, mentre in un anno trapassano circa cinquanta milioni di esseri umani. Sono morti prive d’interesse a meno che non si tratti del decesso di una persona famosa o di stragi, catastrofi, crimini, attentati e, come per le presenti circostanze, di corona virus. Allora il conteggio dei morti diventa l’elemento dominante nelle notizie, insieme a quello degli ammalati e contagiati.
Da diverse settimane nei titoli quotidiani dei mass media primeggiano aggiornamenti di conteggi di morti e ammalati a livello mondiale, continentale, nazionale, regionale, provinciale, comunale. Da un lato ci sono questi numeri che attirano l’attenzione, dall’altro quelli di morti e di ammalati ordinari, che non fanno notizia e che nessuno si prende la briga di contare.
Ci sono morti e ammalati speciali, con la corona, che ostentiamo come macabra classe nobiliare. e morti e ammalati ordinari che non interessano a nessuno.
Ma la morte e la malattia, alla fine dei conti, sia blasonata sia plebea, continua a essere morte e malattia per tutti. E così è sempre stato e seguiterà a esserlo, finché forse non riusciamo a comprendere il senso di questa vita: che statisticamente, nel modo più assoluto, culmina sempre nella morte.
Nella linearità del tempo l’unica certezza di ogni essere umano è la morte. Possiamo passare l’intera vita investendo tutte le nostre risorse nel tentativo disperato di ritardare il più possibile la malattia e la morte. Possiamo anche chiederci che senso abbia una vita fondata su questo proposito.
Possiamo anche domandarci, con tutto il rispetto, quale forma di orgoglio ci sia nello “sconfiggere” una malattia o nel dimostrare di essere in grado di vivere più a lungo di altri. Quel che conta sono qui allora i numeri: la quantità di anni di vita, la cifra dei morti, dei contagiati, dei guariti.
Possiamo anche notare che laddove il numero dei morti e degli ammalati può essere conteggiato, questi numeri non ci dicono nulla riguardo la quantità di sofferenza, terrore e disperazione derivati dalla malattia e dalla morte. Non è possibile contare il dolore, per cui un guarito (che non ha più il virus) è tale anche se sta soffrendo per altri motivi assai più gravi, ma che non fanno né numero né notizia. Quel che importa sono solo i numeri che contano: morti, ammalati, guariti.
Se questa è la misura del successo, ne deriva che ogni persona che si ammala e muore è un fallito e un perdente. Magari è proprio così, per cui si tratta di seguitare a lottare contro le malattie e la morte, anche se alla fine siamo tutti perdenti. Se la sopravvivenza e il ritardo a tutti i costi della morte sono la priorità della vita, possiamo chiederci che razza di vita sia mai questa. Possiamo anche provocatoriamente chiederci se siamo effettivamente vivi, se magari siamo già morti.