Quanti “mi piace” hai messo sui social finora? Quanti ne hai omesso? Se consideri pure le varianti, quanti commenti, cuoricini, faccine o altre icone, hai messo o omesso? Inoltre, quante immagini, frasi o condivisioni hai pubblicato?
Che cosa ti spinge a mettere o omettere un commento o a pubblicare qualcosa? Nel considerare questa domanda accetta che ci siano diverse risposte, se ce ne sono. Non devi essere per forza coerente.
I social non sono molto diversi dalla vita di tutti i giorni. Quanto fai o meno sui social si applica anche nella tua comunicazione ordinaria con gli altri, seppure con diverse misure.
Un social è una piattaforma a due dimensioni che si sviluppa su uno schermo, che a differenza della vita ordinaria non dispone della terza dimensione, ossia la profondità. Tutto quello che vedi e con cui interagisci sullo schermo di un computer o telefono cellulare sono immagini a due dimensioni, laddove nella vita fuori dallo schermo interagisci con immagini a tre dimensioni.
Se osservi un’immagine sullo schermo non puoi girarci attorno e vedere quello che c’è dietro o di fianco. Questo perché manca la profondità, che nella vita ordinaria invece è presente. Nella vita ordinaria inoltre puoi toccare quel che vedi e averne un’esperienza che coinvolge i cinque sensi, mentre nella vita al computer puoi fare uso solo della vista e dell’udito, puoi solo vedere e ascoltare qualcuno, almeno per ora.
Verrà un tempo in cui tutto quel che fai nella vita ordinaria lo potrai fare anche elettronicamente. Hai notato con quanta cura tante persone, incluso forse anche tu, tengono in ordine il loro profilo sui social e le immagini che li ritraggono. In passato ciò che contava era solo la propria apparenza sul piano strettamente fisico. Le persone che ci tenevano a fare una buona impressione, a essere notate e apprezzate, passavano molto tempo nel curare il loro aspetto e il modo di interagire con l’ambiente fisico. Ora molto di quel tempo è dedicato a curare la propria identità elettronica, a pubblicare foto e commenti intesi a creare un buon gradimento in seconda dimensione.
Potremmo arrivare anche a un punto in cui prevarrà l’identità elettronica rispetto a quella fisica, tanto che quest’ultima sarà messa gradualmente da parte e pure dimenticata, fino a non esistere più.
Quello a cui voglio arrivare con questo discorso è che pure l’identità fisica potrebbe essere qualcosa che un tempo ha prevalso rispetto a un’altra identità. Intendo dire che l’identità fisica, ben lungi dall’essere naturale, potrebbe essere artificiale, una sorta di computer di antiquariato. Da una prospettiva sciamanica e multidimensionale le cose stanno sommariamente proprio così.
L’attrazione verso i social, computer e cellulari con funzioni di computer palmare, non è necessariamente esecrabile. Provocatoriamente potrebbe essere il tentativo di ricercare la realtà originale oltre la falsa naturalezza della realtà ordinaria. Ci allontaniamo da una realtà artificiale che si proclama naturale ricercando la nostra natura originale nell’uso esplicito di un’identità artificiale che almeno onestamente si proclama tale.
Allo stesso tempo, piuttosto che amplificare l’artificialità, aggiungendo strato su strato, potremmo percorrere il tragitto inverso, riconoscendo tutti i corpi artificiali che sono stati creati per allontanarci dalla nostra vera natura, finché siamo in grado di incontrare l’autentico sé o almeno qualcosa o qualcuno che sia più autentico di quello con cui abbiamo a che fare ora.
In: Franco Santoro, Pronto soccorso multidimensionale: emergenze spirituali, mondi paralleli e identità alternative, Institutum Provisorium, 2020, pp. 62-64.