L’Eremita – Vergine: Viaggio astrosciamanico nei Tarocchi

RWS_Tarot_09_HermitNel sistema esoterico della Golden Dawn l’Eremita è associato al segno della Vergine.

L’immagine del saggio eremita ha svolto sin dai tempi antichi un ruolo di gran rilievo nell’immaginazione popolare. Il ritiro dalla vita ordinaria e l’attenzione totale rivolta alla ricerca della verità erano molto apprezzate, specialmente perché coincidevano con qualità sante ed un’attitudine di servizio devoto verso coloro che non si “ritiravano”.

Nel Tarot of the Saints di Robert Places, l’Eremita è rappresentato da Sant’Antonio Abate, che è tradizionalmente ritratto con una piccola campana, un maiale a lato e una grande croce a forma di T (il tau). Similmente a San Francesco, Antonio fu colpito da un passo del Vangelo di Marco, “Vai, vendi quello che hai, e donalo ai poveri”, che è quello che egli fece. Tuttavia, a differenza di Francesco, Antonio trascorse la maggior parte della sua vita in preghiera e ascetismo solitari. Il suo esempio e i poteri miracolosi di cui era dotato attirarono molte persone per guarigione e guida spirituale.

In molti mazzi di tarocchi, compreso il Rider Waite Tarot, la carta dell’Eremita ritrae un uomo anziano con una veste e cappuccio monacale, eretto sulla neve di un picco di montagna, mentre tiene nella mano destra una lanterna con una stella a sei punte, associata con l’esagramma del Sigillo di Salomone, o Shatkona (rappresentante l’unità divina e la fusione delle polarità), e un bastone di legno nella sua mano sinistra. La mano destra tradizionalmente è in relazione con l’intento consapevole, che è qui associato con la luce, la saggezza della lanterna e la capacità di unire gli opposti (il Sigillo), mentre la mano sinistra rappresenta ciò che è rilasciato, ossia il potere mondano del sentiero patriarcale (il bastone).

Similmente a Gandalf nello Lo Hobbit e Il signore degli anelli, l’Eremita, oltre a tenere un bastone, è vestito di grigio, il colore che s’associa al Mondo Medio e che integra gli opposti del Mondo Alto (bianco) e del Mondo Basso (nero). Tuttavia, a differenza di Gandalf o altri simili maghi, l’Eremita non è in relazione con l’uso soprannaturale del potere o con lotte aperte con le forze del male, sebbene la lotta avviene ad un livello interiore e spirituale, come nella tradizione del combattimento o guerra spirituale contro il demonio, tipica di Sant’Antonio abate e altri santi.

Per mezzo della meditazione, il silenzio, la contemplazione e l’umiltà, l’Eremita si muove oltre i conflitti tra le polarità, raggiungendo una vetta di saggezza iniziatica, che egli condivide senza sforzo, e forse senza avvedersene, con coloro che vivono ancora nell’ignoranza e illusione. Dalla cima della montagna egli guarda in basso, tenendo la lanterna come per illuminare il sentiero dei ricercatori che si arrampicano e potrebbero facilmente perdersi. Egli è compassionevole e protettivo, tuttavia non è disposto a discendere, o a fare compromessi con coloro che chiedono aiuto dal basso e non sono disposti a salire. La sua funzione è di erigersi come faro luminoso, così che il picco può essere reso visibile per chiunque è disposto a raggiungerlo.

L’Eremita opera come faro interiore, in rappresentanza di quella parte dentro di noi che può scollegarsi dal caos emotivo e mentale della realtà separata, per entrare in rapporto con la nostra vera intenzione e saggezza originaria. La sua presenza emerge ogni volta che ci perdiamo e siamo disposti a trovare il nostro vero orientamento, quando scegliamo di ritirarci dalle distrazioni del mondo esterno, per focalizzarci internamente e abbracciare una ricerca solitaria della verità. Egli risplende da dentro, fornendo una guida lucente e dirigendo i nostri passi sul sentiero che è necessario che percorriamo al fine di realizzare il nostro potenziale più alto.

Quando la lanterna dell’Eremita colpisce la nostra vita, questo è un segno che abbiamo bisogno di lasciare andare il nostro coinvolgimento con il mondo e prenderci del tempo per riflettere e restare in solitudine. C’è un bisogno vitale di mettere in discussione il modo in cui abbiamo vissuto, smettendo di muoverci come robot e assumendo responsabilità per ritrovare la nostra fonte originaria.

Meditazione, silenzio, contemplazione, solitudine e qualunque forma di ritiro spirituale svolgono un ruolo importante in questo stadio. Esse possono essere il risultato di una scelta volontaria o arrivare inconsciamente mediante l’azione dell’anima tramite malattie, prigionie o altre forme di solitudine obbligata.

La solitudine è l’elemento chiave per l’Eremita, e la prima associazione che la maggior parte delle persone riceve con riferimento a questo personaggio. Tuttavia, come direbbe Osho, l’Eremita è “solitario” (alone), ma non “solo” (lonely).

“C’è una gran differenza tra essere solitario ed essere solo. Quando sei solo pensi all’altro, l’altro ti manca. Essere soli è uno stato negativo. Senti che sarebbe meglio se l’altro ci fosse – il tuo amico, tua moglie, tua madre, il tuo amato, tuo marito. Sarebbe meglio se l’altro ci fosse, ma l’altro non c’è. Essere soli è l’assenza dell’altro. Essere in solitudine significa essere in presenza di se stessi. La solitudine è molto positiva . E’ una presenza, una presenza che fluisce abbondante. Sei così pieno di presenza che puoi riempire l’intero universo con la tua presenza e non c’è bisogno di nessuno.” (Osho, The Discipline of Transcendence, Vol. 1, Cap. 2)

Come dice il monaco trappista Thomas Merton: “La persona solitaria, ben lontana da chiudersi in se stessa, diventa una con tutti. Partecipa della solitudine, della povertà, dell’indigenza d’ogni essere umano.”

L’Eremita ci confronta con la consapevolezza che i nostri veri obiettivi non hanno nulla a che fare con ciò che è pubblicizzato nella realtà consensuale, che c’è una dimensione più profonda oscurata dal mondo esterno e che può essere esplorata solo se prendiamo l’iniziativa di farlo, anche se ciò significa abbracciare la solitudine. Tutte le ambizioni e i conforti ordinari perdono la loro presa arrogante, mentre il desiderio per la verità regna supremo come l’unico requisito in grado di riscaldare l’anima. Il primo passo è incontrare l’Eremita e riconoscere la solitudine.

La solitudine(all-oneness) è la nostra vera natura. Siamo sempre soli. Siamo giunti in questo pianeta in solitudine e lo lasceremo in solitudine. E pure durante il nostro intero soggiorno in questo mondo continuiamo ad essere solitari, sebbene ce ne possiamo dimenticare o possiamo fingere che non sia il caso.

Solo se l’incontro con l’Eremita ha successo, il ricercatore potrà ritornare e dispensare i suoi dono al mondo esterno. La maggior parte di coloro che hanno contribuito benedizioni e amore in questo pianeta lo hanno fatto dopo aver trascorso molto tempo in solitudine. Come dice Osho “il vero amore non è la fuga dalla solitudine, il vero amore è una solitudine abbondante. Uno è così felice nell’essere in solitudine che desidera condividerla – la felicità vuole sempre essere condivisa. E’ troppo grande, non può essere contenuta, come un fiore non può trattenere la sua fragranza, deve essere liberata.” (Osho Talks on CD)

L’Eremita è la chiave per le vere sacre relazioni. Le sacre relazioni non hanno nulla a che vedere con l’idea convenzionale dei compagni dell’anima, o altri concetti come fiamme gemelle, anime gemelle o raggi. Queste relazioni sono basate sulla premessa che qualcuno è l’altra metà della mia anima e che ho bisogno di lui o lei per essere completo. In una relazione sacra io non sono la metà di un intero con un altro, siamo entrambi un intero, come dice Un corso in miracoli.

“Ciascuno ha guardato dentro e non ha visto alcuna mancanza. Accettando la propria completezza, la vuole estendere unendosi con un altro, intero come lui. Non vede differenze tra questi sé, perché le differenze sono solo del corpo. Quindi non vede nulla che vorrebbe prendere. Non nega la propria realtà perché è la verità.” (UCIM, Cap. 22, Introduzione 3:2-6).

L’Eremita e la Vergine segnano un intenso processo di trasformazione inteso a fornire gli strumenti che possono permettere all’anima di muoversi dall’arena dolorosa delle relazioni separate al regno delle vere relazioni.

Questo arcano indica un momento di transizione, che può condurre a un cambio radicale di prospettiva nella vita, una rinascita e un risveglio al proprio autentico sentiero. Ciò è promosso mediante un lavoro interiore profondo, meditazione o pratica sciamanica, e pure attraverso il ritiro in luoghi nella natura, allineandosi con i ritmi della terra e coltivando il silenzio. Il ritiro dalle interazioni sociali, le preoccupazioni mondane e le attività stressanti è inteso a cambiare il punto di focalizzazione dal esterno a interno, dalla vita ordinaria alla realtà, così che la relazione primaria dimora con il nostro vero Sé.

“La solitudine dell’Uomo e, in vero, la solitudine di Dio. Ecco perché è una cosa così grande per un uomo scoprire la sua solitudine e imparare a vivere in essa. Perché lì egli comprende che lui e Dio sono uno: che Dio è solitudine così come lui stesso è solo. Che Dio vuole essere solo nell’uomo.” (Thomas Merton)

Franco Santoro

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