Due vie di guarigione

È molto importante comprendere la distinzione fra due vie di guarigione, perché esse sono inconciliabili fra loro.

Una via opera per la separazione e l’altra per l’unità. Sebbene la seconda via operi per l’unità, non può unificare la via che sostiene la separazione, perché anche se questa fa parte dell’unità, la sua funzione consiste nell’ostinarsi a non farne parte.

La separazione è l’idea di non essere parte dell’unità, e quindi non può essere unificata. Dal punto di vista dell’unità la separazione non esiste né mai è esistita. Tuttavia io posso nutrire il pensiero, l’idea, che esista, e questo crea il problema effettivo.

La via di guarigione promossa da molti percorsi spirituali mira all’unità, al recupero della propria totalità originaria.

Guarigione è qui intesa come recupero della nostra natura primaria e contempla ovviamente il renderci conto prima di qual è la nostra natura originaria. Questa ricerca, nei suoi primi sviluppi e anche ciclicamente nel suo evolversi, comporta la presa di coscienza che noi non conosciamo la nostra natura originaria, che la nostra percezione della vita e delle cose che ci attorniano è una percezione molto limitata.

La guarigione spirituale non è una fede, non è una religione, non è un dovere, è qualcosa che decidiamo di usare quando ne sentiamo il bisogno. Se siamo completamente soddisfatti della vita che svolgiamo, se non vogliamo cambiare nulla, non c’è nessun bisogno di usare la guarigione spirituale. Non è qualcosa che impieghiamo per essere accettati da Dio, o per essere approvati da una religione o chiesa. Non è un atto di fede, è semplicemente qualcosa che possiamo usare quando ne sentiamo il bisogno, quando appunto ci sentiamo ammalati, incompleti. E la stessa cosa vale per lo sciamanesimo e per ogni tipo di percorso spirituale. Quindi la via di guarigione è una via di recupero della nostra unità, dell’unità originaria.

Il modo tradizionale di vedere la guarigione consiste nel cambiare una situazione secondo la nostra percezione di come dovrebbe essere la situazione.

Per esempio, dirigo un’azienda, che va molto male, e voglio che vada bene, oppure sono in una relazione e ci sono dei problemi e voglio che non ci siano più. Mi duole il piede e voglio che il male al piede passi. Non dico che questo tipo di guarigione è sbagliato. È del tutto legittimo volere che le cose vadano bene quando vanno male. Tuttavia in questo caso sono solo io che decido cosa vuol dire “andare bene”, c’è solo spazio per la mia concezione di come dovrebbero essere le cose.

La via di guarigione fondata sulla separazione mira a guarire secondo un punto di vista che è separato, sconnesso da ciò che ci circonda. Considera solo quello che va bene secondo una data persona o un gruppo limitato di persone, senza darsi conto di tutto il resto. Questo io che vuole stare bene è semplicemente l’io separato, ossia l’ego. Un io destinato a stare sempre male, perché la sua sofferenza deriva dal fatto di essere separato e di non riuscire a identificarsi con ciò che lo circonda.

La via di guarigione fondata sull’unità parte da un sintomo di malessere che può essere ognuno di quelli che ho elencato prima.  Riconosce dapprima la nostra prospettiva di come dovrebbero andare le cose, e poi si apre alla soluzione che è veramente in grado di sanare il nostro malessere. Attenzione qui! Il primo punto, ossia riconoscere la nostra prospettiva di come dovrebbero andare le cose, è essenziale, appunto perché è il primo punto. Senza il primo punto, non ci può essere il secondo. Questo vuol dire che la cosa non funziona se io passo direttamente al secondo punto, senza iniziare dal primo, e lo vedremo più avanti…

Una volta considerato il primo punto, vale a dire, come tu vedi una data situazione, un sintomo di malessere o benessere, il processo di guarigione si avvia e raggiunge il momento chiave quando ti avvedi che quella situazione ha altre sfaccettature… A volte attraverso la guarigione fondata sull’unità ci può essere una guarigione del sintomo di malessere, oppure una comprensione e accettazione di questo sintomo che ti permette di inquadrarlo in una ben più vasta e appagante prospettiva di benessere. Quando ti avvedi di ciò, ecco che ne deriva un’immediata sensazione di felicità e pace. E alla fine quel che conta è la pace e la felicità, perché è quello che la maggior parte di persone vogliono. Essere felici, raggiungere un senso di gioia, di felicità, di soddisfazione, di sanità. Le cose che ti rendono felici non sono necessariamente quelle che pensi siano causa di felicità.

Una delle cose che crea una gran confusione su questo pianeta, è che riguardo alla felicità ci sono dei condizionamenti molto inculcati, molto profondi che ci portano a vederla solamente nella realizzazione di alcuni obiettivi accettati dai più come sintomo di felicità. Questo crea gran dolore in molte persone perché alcuni di questi obiettivi per certi individui non sono realizzabili. Pensate a una donna che è condizionata a vedere la felicità nel fatto di avere un figlio, e questa donna non può averlo per motivi biologici. Pensate al dolore di questa donna.

Quando la felicità è vista in un obiettivo fisico particolare, fisso, ecco che ciò porta inevitabile alla sofferenza. Non solo. C’è sofferenza anche per chi lo realizza perché, sebbene possa avere dei figli, una famiglia, eccetera, può sempre succedere qualcosa a questi figli e alla famiglia. Quindi pur avendo realizzato l’obiettivo vivo nella paura che qualcosa di nefasto possa accadere. Può accadere una disgrazia, eccetera. La fissazione su un obiettivo fisico particolare, visto come unica fonte di felicità, porta ineluttabilmente all’infelicità. La felicità perseguita nella guarigione fondata sull’unità esiste quale esperienza diretta, e non è in relazione a qualcosa che succede. Non è una felicità basata sulla presenza di certe circostanze fisiche. E’ una felicità esperienziale che può esistere oltre le circostanze.

Uno dei grandi paradossi nella guarigione spirituale è che spesso le esperienze più potenti e immani di felicità giungono alle persone in momenti della vita in cui, da un punto di vista convenzionale, non c’è proprio motivo alcuno di felicità. Tutto va male, eppure qualcosa succede che fa sentire questa felicità, e ciò ha un potere incredibile perché libera da ogni dipendenza che c’è all’esterno, scaturisce dall’interno, e quindi pone in uno stato invulnerabile, perché è una felicità che si muove da dentro e che nulla può minacciare.

Per millenni tutti coloro sul sentiero della ricerca hanno perseguito questo tipo di felicità, talvolta descritta in termini metaforici, come per esempio, il Santo Graal, l’Eldorado, eccetera. Alcuni stolti si sono confusi e hanno pensato che si trattasse effettivamente di qualcosa di materiale, dei tesori nascosti. Bene, questi tesori, sono ovviamente nascosti, ma dentro di noi. Queste cose che sto dicendo sono sicuramente ovvie per molti di voi.

Ci tengo a ripeterle perché sebbene nei miei discorsi le promuova in continuazione vi è una parte di me che assolutamente si ostina a non crederle, che persiste ad operare in modo folle e insano.

La guarigione astrosciamanica comporta venir in aiuto a questa parte che dimora nella sofferenza, risvegliandola dalla sua allucinazione. Tale guarigione anela a ridestare la parte addormentata all’effettiva realtà dell’esistenza, ma ciò non attraverso la predica, gli insegnamenti spirituali o il convincimento intellettuale, bensì attraverso l’esperienza diretta.

Se continuo a parlare a qualcuno che dorme su cosa succede nel mondo in cui si è svegli, quella persona continua a dormire, ma se però le faccio avere un’esperienza di cosa significa essere svegli, ecco che avrà un’esperienza diretta, immediata, e questo è qualcosa che cambierà radicalmente il suo modo di percepire le cose. Se parlo a chi dorme, le mie parole giungono nel suo subconscio e qualcosa in vero succede, ma non a livello cosciente, ossia la persona in questione non ne è consapevole. Se tuttavia, mi assicuro che la persona sia sveglia e poi parlo, la mia comunicazione avrà un effetto diretto.

 

Trascrizione parziale da un seminario di Franco Santoro tenuto nel 2008 (clicca qui per il testo completo)

 

 

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