Lo sciamano e l’epidemia


Secondo alcune culture indigene pare che la malattia più fatale per uno sciamano sia quella di natura epidemica.
Riporto qui un breve estratto da uno dei libri più popolari e prestigiosi di (neo)sciamanesimo (La via dello sciamano di Michael Harner, Edizioni Mediterranee, 1995), frutto del lavoro antropologico dell’autore presso gli Jivaro, una tribù indigena sita nel sud ovest della foresta Amazzonica.
“Gli Jivaro credono che la persona che possiede uno spirito guardiano sia virtualmente immune alla morte, eccetto che per la morte risultante da malattie epidemiche. E nemmeno la persona può ferirsi o ammalarsi seriamente tranne che, di nuovo, nel caso di epidemie” (p. 166).
Resta da capire come mai proprio le epidemie rappresentino un’eccezione e su questo dilemma si possono fare varie riflessioni.
L’antropologa Dominique Buchillet in un’opera più recente (vedi https://pdfs.semanticscholar.org/b45f/f27952570928321389421f8b85c9b1093d6d.pdf) riferisce che gli indigeni sudamericani considerano le epidemie come frutto dell’opera maligna dell’uomo bianco o come uno strumento usato dagli sciamani locali per riaffermare le regole sociali e culturali. L’interpretazione indigena delle malattie epidemiche è in rapporto diretto con le circostanze sociali e politiche della loro emergenza.

L’epidemia è forse così fatale perché viene provocata intenzionalmente come atto magico da forze assai potenti da cui non è possibile difendersi?

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